In Sicilia, come per i primi cristiani, anche per gli ebrei la documentazione proviene dalla zona sud orientale dell'isola e diviene evidente in concomitanza con l'accettazione del cristianesimo da parte dello Stato nel corso del IV secolo.
Le iscrizioni funerarie suggeriscono che cristiani ed ebrei coesistessero: avevano sepolture contigue e il linguaggio usato nei testi spesso si sovrappone, come per esempio nella frase "nel grembo di Abramo" nell'iscrizione 34. Catania è una delle più ricche fonti di testi ebraici della Sicilia e i riferimenti alle leggi ebraiche e agli anziani (presbyteroi) fanno pensare all'esistenza di una sinagoga.
Tutti i testi ebraici rinvenuti in Sicilia sono in greco: le uniche eccezioni sono una lamina d'oro da Comiso in ebraico e l'iscrizione di Aurelius Samohil (iscrizione 32), che è il più lungo testo latino antico della diaspora ebraica in occidente. Qui l'ebraico è stereotipato, cosa che indica piuttosto un ossequio alla tradizione che non una piena conoscenza della lingua. Il latino è contrassegnato da errori formali (ad es. mi=mihi e oxsoris=uxori) ed è probabile che fosse scelto non per familiarità, ma perché si trattava della lingua ufficiale dei documenti pubblici, come già visto nella sala precedente. Aurelius è un nome romano comune; Samuel è altrettanto comune in ambiente ebraico. L'iscrizione mira dunque a presentare Aurelius come un membro della élite locale. É da notare come Aurelius per avere protezione si appelli in ugual modo all'autorità romana, giudaica e divina (le minacce contro chi danneggia una tomba sono usuali nell'antichità).